Siamo solo alle libere ma la Ducati rifila l’ennesima figuraccia, di rimando Valentino Rossi si appresta a mettere la faccia su un’altra debacle che pare annunciata. In Malesia non sarà diverso che altrove: più facile – lasciano intuire le prestazioni inanellate dalla Rossa a due ruote – che si tenda al peggioramento piuttosto che al miglioramento. Dice il cronometro dopo le prime libere: il Dottore ha chiuso i primi due collaudi a quasi 2 secondi e mezzo da Pedrosa.
L’elenco delle cose che non vanno è talmente lungo che a tirarlo fuori – ogni giornata che passa – ci vorrebbero sempre minuti in più. La moto, i rapporti di scuderia, l’umore, la mancanza di prospettive, l’approccio sempre più pesante, i dubbi che serpeggiano (strisciano!!) nelle menti degli uni (Ducati) e dell’altro (Rossi), i secondi lasciati per strada. Giro dopo giro.
Già. Cion tutti i secondi che ha perso per starda rispetto agli avversari, Rossi ci metterebbe insieme un quasi gran premio. Tanto basti a capitre come si avvia alla chiusura una stagione dal punto di vista sportivo drammatica e fallimentare. Nessuno l’aspettava così: nè Rossi nè gli uomini in rosso di Borgo Panigale. Ma così è andata.
Allora: in barba alle insistenze e alle resistenze, a prescindere da scelte prossime, immediate o lontane nel tempo. Al di là di cosa è stato bene e cosa sia stato deletereo. Ci si tiene a sottolineare che. Un campione ha il dovere di non mollare mai. Anche se le statistiche del 2011 sembrano quelle di un dilettante allo sbaraglio. Nessuna vittoria, un podio, neanche una pole. La Ducati Desmosedici GP11 probabilmente si dovrà accontentare di un terzo posto – e basta – racimolato in Francia in quello che è stato un finale inm costante regressione: se i quinti posti delle prime gare lasciavano quantomeno sperare che la situazione potesse migliorare di volta in volta, la sequenza rifilata nelle ultime cinque gare – rispettivamente: decimo, sesto, decimo, ritirato, ritirato – non riserva più alcuna sorpresa. E se Rossi qualche passo avanti lo farà in Malesia o a Valencia, non illuderà. Non entusiasmerà. A meno che uno non si metta a pensare che. Che il prossimo anno possa essere quello del riscatto.
Ma il campione. Ma il campione è campione anche se perde. Il campione che non molla, che batte e lotta. Il campione cui tocca l’onere di conservare un’immagine imperturbabile anche se tutto va storto. Il campione cui si concede sempre il tempo utile per rimediare, aggiustare, apportare modifiche e accorgimenti. Per dirla in cifre: se mettessimo Valemntino Rossi del 2011 a gareggiare con i dieci Valentino che lo hanno preceduto in motoGP, ci si renderebbe conto che quello di quest’anno prenfderebbe la paga da tutti. Dallo stratoisferico campione del mondo del 2008 che inanello 373 punti in graduatoria allo sbarbato che nel 2002 debuttò in MotoGP sbancando la concorrenza. E non solo: aprissimo la competizione anche ai Valentino della 500cc, della 250cc, della 125cc bhè. In termini di risultati, quello made in 2011 sarebbe migliore solo del debuttante Rossi in 125cc: era il 1996, chiuse al nono posto in classifica con 111 punti.
E il campione. Il campione che arranca resta pur sempre un campione. Sebbene una generazione tutta nuova di motociclisti impeccabili e assolutamente validi – dai Casey Stoner ai Jorge Lorenzo passando per Marco Simoncelli – si sia prepotentemente insinuata tra la Storia alle spalle di Valentino e qualla attuale. Sebbene la faticaccia di stare lì, con i primi, richiami alla memoria il fiatone di un maratoneta avanti con l’età e circondato da pischelli in pieno vigore. Allora. Allora il campione ha il dovere anche così di non mollare nulla, aggredire lo spazio, precorrere i tempi, fare il campione. E se la moto non va?
Se la moto non va, se i binomi non funzionano. Oserei dire: se piove. Se piove e non c’è l’ombrello, uno che fa? O si ferma e aspetta che spiova oppure si bagna. E va dove deve andare. Allora, ci si bagni un po’, che ad arrivare – poi – si arriva. E il campione. Ha il dovere di non arrendersi e sa riservarsi l’imprescindibile diritto di stupire. Sempre. Allora: ho apprezzato il Rossi perdente di quest’anno quanto abbia apprezzato quello invincibile degli anni scorsi. Perché nei modi, negli atteggiamenti, nella trasmissione di stati d’animo e pensieri, Rossi ha saputo confermarsi campione di caratura mondiale. Campione come pochi.
Con il dovere di non arrendersi. Anche se dovesse arrivare – lo sa Michael Doohan, lo sa Sete Gibernau: ricordi che gli hai fatto, dottor Rossi? – una moto più su di giri, un binomio che non lo pareggi nemmeno se sei le gemelle Kessler, l’uomo della pioggia. E se la moto non va? Se non va, caro campione, e se dare di gas non basta ancora, allora quest’anno è andata così. Però: lo sa il campione, sempre meglio quinti che sesti. E se vede davanti Ben Spies che gli sta un muso più in là, fa di tutto per metterselo alle spalle. Basti lo stimolo del quinto posto in graduatoria, caro Dottore, perchè un campione ha il dovere di non mollare mai. Dalla Ducati ci si aspetta prove di fuoco, massimo impegno. Due gare, andiamo!