Doveva essere il gran premio delle defezioni volontarie. Doveva essere la dimostrazione di forza da parte dei centauri e dei box in seno al grande circus delle due ruote. Ancora, avrebbe dovuto rappresentare un elemento di coesione da parte dei centauri nei confronti del sistema economico che ruota intorno al mondiale di motociclismo. Un modo per dire: prima la salute, poi lo show.
Da Casey Stoner a Valentino Rossi passando per Jorge Lorenzo: citiamo i tre in quanto emblematici per richiamare alla mente l’intero universo che gravita intorno alla moto da competizione. Il coro univoco era armonioso: a Motegi non si corre. E non perchè non vi fosse la capacità di mettere una mano sul cuore in seguito alla tragedia causata dal terremoto verificatosi l’11 marzo 2011 – il più devastante sisma che abbia mai colpito il Giappone – che ha causato oltre quindici mila morti accertati (oltre cinque mila, ancora adesso, i dispersi che a conti fatti sono da annoverare anch’essi nel numero delle vittime), non per indifferenza nè per superficialità.
Semmai, perchè in concomitanza al terremoto e al maremoto, si è verificato loovuto a eccessivo surriscaldamento. E’ stata dichiarata emergenza nucleare, si è subito temuto una nuova Chernobyl (MEDITATE GENTE, MEDITATE). Tradotto, vuol dire non solo perdite umane immediate ma una serie di migliaia di vittime di malattie letali che colpiranno la popolazione nel corso degli anni a venire. Motegi, in un contesto simile, fa paura ancora adesso nella misura in cui – a venticinque anni di distanza – incute ancora terrore Chernobyl. Non si corre, ripetevano i piloti agli organizzatori del Mondiale. Decisione irremovibile.
Sicuri sicuri?